Inedito

RicordeRAi

una recensione di Enzo Costa


Un documentario in bianco e nero. Un album della memoria. Una ricognizione sul luogo del diletto. Un omaggio affettuoso ma non salameleccoso. Questo e molto altro ancora è “RicordeRai”, il bellissimo libro di Barbara Scaramucci e Claudio Ferretti, pubblicato da Rai Eri, su ottant’anni di radio e cinquanta di televisione pubblica. Il merito principale degli autori (rispettivamente direttore delle Teche Rai e giornalista e radiocronista figlio d'arte) è quello di avere unito ricostruzione storica e cifra aneddotica, dato statistico e spunto coloristico, visione d’insieme e zoom sul dettaglio: ne viene fuori un affresco pieno di sfumature sulla meglio tivù (e radio) del nostro paese, con tutte le variazioni possibili – dall’idea di specchio più o meno deformante a quella prettamente bernabeiana di strumento pedagogico fino a quella di perfetto marchingegno per l’intrattenimento (o l’obnubilamento) di massa – in materia di rapporti tra emittenza e utenza, palinsesti e realtà, scenario catodico e panorama sociale italiani. La scansione annuale degli eventi contribuisce a disegnare con efficace precisione il giro del mondo radiotelevisivo in ottant’anni: la scheda iniziale dedicata a ciascun anno racconta di tutto e di più su programmi, successi, personaggi, organigrammi, novità strutturali e normative nonché risvolti sociali e politici di quella stagione. Foto e minischede susseguenti dei divi più amati e delle trasmissioni più riuscite approfondiscono e alleggeriscono a dovere. Inutile rimarcare che le facce d’epoca, per dire, di Filogamo e Gigli, Chiari e Bramieri, Carrà e Minoprio, Ciotti e Ameri, Zatterin e Zavoli, sono formidabili madeleines per ogni generazione di abbonati: meno scontate – forse – alcune annotazioni minime e una riflessione generale. Ad esempio il fatto che gli scatti fotografici più antichi – meno posati e pettinati di quelli più recenti – trasudino spontaneità e genuinità poi smarrite con l’instaurata dittatura degli uffici stampa.

O la sensazione poco up-to-date ma corroborata da pagine eloquenti che tra qualità dei programmi e monopolio del servizio pubblico ci fosse una qualche relazione. O l’amara considerazione indotta dal ripercorrere la rivoluzionaria riforma della Rai negli anni ’75 e ’76 con il varo del telegiornale della seconda rete: oggi quella valentissima redazione, guidata dal compianto Andrea Barbato, sarebbe bollata come comunista e criminosa dagli alacri epuratori di Biagi, Santoro e De Bortoli che ci sgovernano. Più in generale, l’impressione fortissima che si ricava da quest’avvincente narrazione per immagini e parole è quella di una Rai come immenso, straordinario patrimonio. Patrimonio di talenti, intelligenze, contenuti, storie umane e professionali, in una parola cultura: e – per gli spettatori (non ce la faccio a chiamarli audience) – patrimonio di emozioni, sogni, educazioni sentimentali, piccole e grandi erudizioni. Un patrimonio difficile da disperdere, malgrado gli attuali, pervicaci tentativi. I Cattaneo, i Gasparri, i Berlusconi passano, la Rai resta. Almeno si spera.

la copertina del libro

 

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